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No, lo Stato non espropria «30 mila» aziende balneari

| 01 giugno 2022
La dichiarazione
«Trentamila aziende italiane vengono letteralmente espropriate e mandate all’asta»
Fonte: Facebook | 30 maggio 2022
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Verdetto sintetico
La leader di Fratelli d’Italia esagera.
In breve
  • Secondo diverse stime, gli stabilimenti balneari in Italia sono al massimo un terzo della cifra citata da Meloni. TWEET
  • Parlare di “espropriazione” e di “messa all’asta” è esagerato: le spiagge sono un bene dello Stato, e non dei privati, e l’obiettivo è quello di assegnare le concessioni dopo una gara pubblica. TWEET
Il 30 maggio, durante un evento elettorale a Lodi, in Lombardia, la presidente di Fratelli d’Italia ha parlato (min. 10:13) della questione dei «balneari», criticando l’accordo raggiunto dai partiti che sostengono il governo guidato da Mario Draghi per mettere a gara le concessioni degli stabilimenti balneari. Per anni queste concessioni sono state prorogate senza gara, andando contro le regole europee. A novembre scorso il Consiglio di Stato, l’ultimo grado della giustizia amministrativa, ha stabilito con una sentenza che le concessioni non potranno più essere prorogate oltre il 2023, indicazione recepita dal governo con un provvedimento contenuto nel disegno di legge annuale sulla concorrenza, approvato dal Senato il 30 maggio e ora passato all’esame della Camera.

Secondo Meloni, con questa misura «30 mila aziende italiane» saranno «letteralmente espropriate e mandate all’asta». Abbiamo verificato e la presidente di Fratelli d’Italia esagera, e non è la prima volta che questo accade sul tema delle concessioni balneari. In passato, Meloni aveva per esempio dichiarato che le direttive europee non si applicano ai balneari, cosa non vera, e che l’Italia ha «decine di migliaia di chilometri di costa» libere e non sottoposte a concessione, dichiarazione anche questa non supportata dai fatti.

Quanti sono gli stabilimenti balneari in Italia

In Italia le spiagge fanno parte del demanio pubblico, ossia l’insieme di beni che sono di proprietà dello Stato e che non possono essere venduti o ceduti in nessun caso ai privati. Tuttavia, lo Stato può permettere a soggetti privati l’uso di questi beni, attraverso lo strumento della concessione.

Al momento, c’è scarsa trasparenza su quante siano le imprese e le concessioni date dallo Stato che riguardano tutte le attività balneari, su mari, fiumi e laghi. Lo stesso disegno di legge annuale sulla concorrenza propone (art. 2) di delegare al governo la creazione di un sistema informativo per mappare tutte le concessioni attualmente date in concessione dallo Stato.

Esistono comunque numeri e stime, promosse proprio delle stesse associazioni di categoria, che suggeriscono come il dato indicato da Meloni, ossia quello delle «30 mila» imprese balneari, sia esagerato. 

Secondo un’elaborazione di Confcommercio e della Federazione italiana dei pubblici servizi, pubblicata a febbraio 2022, nel 2019 gli stabilimenti balneari (di mare, fiume e lago) presenti in Italia erano in totale 6.318. Secondo le stime della Camera di commercio di Milano, sui dati del registro delle imprese, nel 2019 nel nostro Paese c’erano poco più di 8 mila attività che «gestiscono stabilimenti sulle spiagge dei nostri mari, sulle rive dei laghi e sulle sponde dei fiumi o noleggiano pedalò e canoe». In base ai dati del Ministero delle Infrastrutture, aggiornati a maggio 2021 e analizzati dalla Corte dei Conti, le concessioni dei beni demaniali marittimi ad uso turistico sono poco meno di 12.200, da cui lo Stato ha ricavato in media, tra il 2016 e il 2020, meno di 100 milioni di euro l’anno.  

Come abbiamo visto, le cifre in circolazione sono abbastanza discordanti, ma in ogni caso più basse di quella citata da Meloni.

È giusto parlare di espropriazione?

Veniamo adesso alla seconda parte della dichiarazione della presidente di Fratelli d’Italia. Davvero il governo vuole «letteralmente» espropriare i balneari delle loro attività e metterle «all’asta»? Negli ultimi mesi questa argomentazione è stata utilizzata anche dalle associazioni di categoria dei balneari, ma è esagerata.

Dopo lunghe trattative, i partiti che sostengono il governo hanno raggiunto un accordo per mettere a gara pubblica le concessioni balneari, e non «all’asta», termine che lascia intendere che chi offre più soldi abbia più possibilità di vincita.

Le concessioni balneari attuali rimarranno in vigore fino a dicembre 2023, anno durante il quale andranno condotte gare pubbliche per la riassegnazione. È prevista però un’eccezione: in caso di «ragioni oggettive» che impediscano lo svolgimento della gara, per esempio la presenza di un contenzioso giudiziario, una concessione potrà al massimo durare ancora un anno, fino alla fine del 2024. Se anche la Camera approverà il testo votato dal Senato, senza modifiche, allora al governo verrà dato il potere di stabilire i criteri su cui si svolgeranno le gare, per le quali dovranno essere tenute in considerazione una serie di caratteristiche dei gestori uscenti, come l’«esperienza tecnica e professionale acquisita», garantendo la «stabilità occupazionale del personale impiegato». Inoltre, l’esecutivo avrà il compito di definire i «criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante». Tradotto in parole semplici, chi dovesse ottenere una concessione balneare, dovrà versare un indennizzo al gestore che ha perso la concessione.

Viste queste premesse, parlare di “espropriazione” da parte dello Stato è esagerato. In genere, si fa riferimento a questa parola quando lo Stato priva un cittadino di una sua proprietà, ma come abbiamo visto le spiagge non sono di proprietà dei gestori, ma dello Stato, che le danno a loro in concessione. In base al codice di procedura civile, esiste poi l’“espropriazione per pubblico interesse”, che consente allo Stato di trasferire la proprietà privata di un bene nella propria sfera giuridica quando c’è, appunto, un interesse pubblico. Ma non è questo il caso a cui si applicano le concessioni balneari.

Le associazioni di categoria riconoscono che «le spiagge sono un bene pubblico», ma obiettano che «le imprese che vi sorgono sopra sono una proprietà privata». Come abbiamo visto, però, il provvedimento su cui hanno raggiunto un’intesa i partiti di governo prevede indennizzi economici, da parte di chi dovesse subentrare nella gestione di uno stabilimento, al posto del gestore uscente.

Il verdetto

Secondo Giorgia Meloni, con il nuovo provvedimento sulla concorrenza voluto dal governo per le concessioni balneari, «trentamila aziende italiane vengono letteralmente espropriate e mandate all’asta». Abbiamo verificato che cosa dicono le regole e i numeri e la presidente di Fratelli d’Italia esagera.

In base alle stime in circolazione, gli stabilimenti e le imprese balneari in Italia sono al massimo un terzo della cifra citata da Meloni. Per quanto riguarda le conseguenze, parlare di “espropriazione” e di “asta” è esagerato: le spiagge sono un bene dello Stato, e non dei privati, e l’obiettivo è quello di assegnare le concessioni dopo una gara pubblica, e non con un’asta.

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